15 dicembre 2006

Che fare?

Tornati all'ovile, sembra di non essere mai stati in così tanti, diversi mondi.
Amareggia soprattutto constatare, per contrasto, che gli italiani, in quella che sembra purtroppo una loro maggioranza, si dimostrano il popolo più cafone, arrogante ed egoista.
Tutti hanno diritti, nessuno doveri.

Distanti anni luce quei villaggi dell'Asia, i poveri paesi dell'Indonesia e della Cambogia e le caotiche città del Vietnam, in cui la gente sorride e ti offre tutto ciò che può, anche se è quasi nulla. Luoghi dello spazio e del tempo in cui un grasso e volgare benessere non ha ancora annientato menti e cuori, e si sente ancora la presenza del senso di una umana fratellanza.
Che fare, dicevo. Non so; mi appare chiaro che la nostra anima è ormai irrimediabilmente corrotta dalla competizione, dalla prevaricazione che spinge l'uno contro l'altro, dalla disillusione verso un futuro ormai cieco. Ci hanno fatti diventare non uomini, ma aziende, che si guardano con sospetto e tendono spietatamente alla filosofia del "mors tua, vita mea". Infagottati pateticamente in una diffidenza per tutto e per tutti. Disillusi e cattivi.

Eppure sembrava così facile sorridere e darsi una mano: aiutare chi rimane indietro, diceva una troppo ottimistica pubblicità di qualche partito.
In tanti mi chiedete di fare di questo racconto, riveduto e corretto, una pubblicazione: innanzitutto non lo ritengo, e non mi ritengo, all'altezza; in questo momento di presa d'atto che questo non è un bel posto dove vivere, poi, lo spirito non mi aiuta.
Non è escluso che ci provi, ma lasciatemi metabolizzare i rospi e date alle mie illusioni il tempo di rifondarsi, se ne avranno la forza.
Eppure sarebbe così facile.
Auguri a tutti di una serena fine d'anno e di un sorridente 2007.

F & V

05 dicembre 2006

The boys are back in town

Cioè, siamo a casa. Depressione.
Non è stato così semplice.
Già da tre settimane, da quando si è presa la decisione di tornare in aereo, la mia ansia fobica ha cominciato a crescere a dismisura, impedendomi di godere delle ultime giornate d'Australia.
Arrivato al momento di acquistare il biglietto ho tergiversato fino all'ultimo, costringendoci alla fine ad acquistare il biglietto più caro della storia dell'aviazione civile, perchè i posti erano quasi tutti esauriti.
Da quel giorno non ho più dormito ed ero simpatico quanto un escremento diarroico in cui avete appena affondato una costosissima scarpa nuova.
A quel punto sono dovuto andare dal medico per farmi prescrivere qualcosa, altrimenti non sarei partito: Valium in pillole da 5 mg.
Il medico ha specificato che, per un effetto deciso, avrei dovuto prenderne una un'ora prima di partire ed una al momento di salire sull'aereo.
Ho scassato le palle a chiunque con questa storia, e per alcuni giorni ho seriamente maturato l'idea di non partire, perdere i soldi del biglietto ed arrangiarmi diversamente. Significava ritardo nel rientro al lavoro e un'altra traversata dell'Asia.
La tratta scelta era Cairns-Tokyo/Tokyo-Milano, con una notte di stop over in giappone.
Con la Quantas la prima tratta (7 ore) e la Japan Airlains la seconda (12 ore). Una tragedia.
La sera prima della partenza, per non fare una strage di amici e familiari in preda alla follia con una accetta, ho dovuto prendere due pillole. Sono sopravvissuti tutti.
Ore 5, si parte per Cairns; fino alle otto mi sento quasi normale, poichè riesco a convincermi che in realtà su quel volo non ci salirò. Poi la realtà si avvicina con i chilometri che passano e comincio a vibrare. Alle nove la prima pillola. Nessun effetto.
Alle 11.30, un'ora prima del volo, altre 2 pillole: nulla.
Nelle prime due ore di volo altre due pillole: sempre peggio!
Per fortuna arriviamo a Tokyo e posso rilassarmi per una notte all'Hotel Nikko Narita, divertendomi un mondo con il water dotato di un solleticante bidet automatico.
La sera riesco anche a mangiare una pizza "napoletana" per la modica cifra di 20 euro.
Il giorno dopo ricomincia l'angoscia; il volo è alle 13.30. Comincio a prendere pillole prima e durante il volo come un tossicodipendente, in tutto 6 nelle prime 3 ore, ma non mi fanno assolutamente nulla: la mia incrollabile certezza che morirò in mezzo ad atroci dolori in seguito alla caduta dell'aereo persiste ed aumenta. Più o meno le immagini che affollano la mia mente sono quelle che vedete quì sotto. Autolesionismo? Si.
Colgo l'occasione per ringraziare pubblicamente Virgy che ha sopportato un pazzo isterico per 7 ore fino a Tokyo e per 11 delle 12 ore fino a Milano.
Durante il volo, non facendo alcun effetto le pillole, decido di fare ciò che ogni persona sana di mente dovrebbe evitare di fare: ci bevo sopra 4 whisky.
L'effetto è sempre nullo e il mio terrore fobico aumenta ad ogni minimo sussulto del velivolo (un Boeing 747-400 a due piani a cui neanche un ciclone farebbe paura).
Le ore mi sembrano 20, poi 100. Solo chi di voi è afflitto da questa invalidante fobia mi può capire: io so che nulla accadrà e che il volo è tranquillissimo eppure, allo stesso tempo, il panico e la certezza di un disastro imminente aumentano sempre di più.
A due ore da Milano, dopo non aver toccato cibo nè a pranzo nè a cena, ho la bocca secca e decido di farmi una lattina di birra, e quì succede il miracolo: praticamente perdo i sensi; sono così stordito che non riesco a tenere la testa dritta, e al panico si sostituisce una morbida rassegnazione tipo: "ma si, se cade tanto non capisco nulla, faccia ciò che vuole".
Bellissimo !! Peccato che l'aereo stia già tirando fuori le rotelline e si abbassi verso la pista.
Adesso una delle mie priorità, oltre a quella di assumere un regime alimentare leggermente meno corposo di quello di un ippopotamo bulimico, sarà quella di presentarmi dal primo psicologo disponibile per curare questa malattia (tra l'altro assai diffusa): bisogna viaggiare, e non posso ogni volta patire e far patire in questa maniera.
Nè evidentemente posso avere il tempo e i denari per raggiungere ogni parte del mondo sempre con treni, autobus, navi e risciò, anche se sarebbe un viaggio bellissimo.
Comunque, ragazzi, siamo arrivati. Ma dov'è il sole?

F & V

04 dicembre 2006

La Grande Barriera Corallina

La Grande Barriera Corallina australiana è indubbiamente la più grande del mondo.
Mia personale convinzione è che sia anche la più bella.
A seconda di chi scrive i libri, copre dai 280.000 ai 344.000 km quadrati ed è lunga tra i 1900 e i 2500 km. Comunque più di Varazze.
Ci potete trovare 1500 specie di pesci, 400 tipi di coralli, 4000 varietà di molluschi e svariati e creativi modi di schiattare.
Siamo fortunati ed il vento, in questi giorni sempre piuttosto teso, è abbastanza tranquillo.
La barca parte alle 8.45 del mattino nel sole gia bollente e Virgy, neanche usciti dal porto, comincia a stare male. Pare si tratti di un record di valore internazionale.
Durante il viaggio di circa due ore fino al reef, il viso della povera sventurata passa da un colore pallido ad un giallo itterico, poi al violetto per terminare, dopo una vomitata anch'essa di entità di valore internazionale, in blu tenebra. Gli assistenti della compagnia si fanno in quattro per porre rimedio al dramma mettendole ghiaccio sulla base del collo, facendola sdraiare, cantandole canzoncine, mimando sciarade e picchiandola a turno con un randello: tutto inutile. Un mozzo di colore ha inscenato anche un antico rito woodoo, con l'unico risultato di richiamare qualche nuvola (forse aveva sbagliato formula).
Alle 11, finalmente, si intravede in lontananza, oltre il blu scuro dell'oceano pacifico, un azzurro intenso.
Ci ancoriamo ai bordi del reef e ci accingiamo a scendere in acqua armati di pinne, maschera e boccaglio.
Le acque, imbrigliate dai coralli, sono ormai chete, e la povera Virgy riacquista un colorito se non umano, almeno da famiglia dei primati.
Conoscendo le mortali creature che bazzicano da queste parti, ci informiamo su eventuali pericoli: ci assicurano che quì non ci sono meduse.
Inspiegabilmente non si fa cenno a squali, pesci pietra, serpenti marini e all'epinefelo, un pesce idiota di 400 chili che addenta i sub, poi si ricorda che gli fanno schifo e li sputa.
Non importa quanto e cosa possiate avere letto sulla barriera australiana: potete solo fare 24 ore di volo e venire a vedere.
Pesci pappagallo di un metro con colori dal giallo al viola, pesci pagliaccio, coralli e madrepore decorano questo mondo.
A causa del fatto che queste barche attraccano sempre nello stesso punto, è evidente che li intorno la natura ha perso un po' di lustro ma, negli atolli distanti anche poche centinaia di metri, lo spettacolo è ancora rigoglioso.
Virgy si butta in acqua e magicamente si sente meglio. Nessuno squalo in vista, anche se vedere pesci erbivori di un metro e venti vi assicuro che inquieta ugualmente.
Sguazziamo per un'oretta e poi saliamo in barca per il buffet, dal quale asportiamo un paio di chili di gamberi.
Secondo giro con i pesci che guizzano tra le gambe e poi a bordo per il ritorno.
Questa volta un astutissimo mozzo fornisce a Virgy due misteriose pillole che la fanno addormentare beata per due ore sotto un sole mortalmente caldo; secondo me non era Travelgum...

F & V

Tropical Queensland

Dovendo promuovere un luogo di villeggiatura caldo e pieno di attrattive naturali, quali seducenti parole e suggestioni esotiche vi verrebbero in mente?
Ve lo dico io:
1-mare cristallino
2-spiagge solitarie
3-foreste incontaminate
4-barriere coralline
5-servizi di prim' ordine, etc. etc.
Cosa ti inventano invece quei draghi della comunicazione del governo del Queensland?
Ecco qui:
Se avete problemi di vista o fate a cazzotti con l'inglese ve lo traduco io, lo slogan: "SCOPRITE IL QUEENSLAND TROPICALE, PRIMA CHE LUI SCOPRA VOI".
Non so voi, ma io lo trovo inquietante, nonchè vagamente minaccioso, soprattutto con lo sfondo di quella sorta di drago incazzato sullo sfondo.

Ma e', credetemi, uno splendido esempio dello spirito australiano.

Qui la vita scorre calda e piena di interesse. Io continuo le mie esplorazioni nei fiumi e in mezzo alla fitta vegetazione in cerca di coccodrilli e nel frattempo continuo a pescare pesci che non sazierebbero un puffo anoressico.
La meraviglia della natura del Queensland stupisce ogni giorno.
Mi hanno portato con una barca a pescare in un fiume ad una cinquantina di chilometri a sud di Townsville; qui abbiamo piazzato le trappole per i granchi e abbiamo solcato gli affluenti sperando di vedere segni della presenza dei miei rettili preferiti.
Le trappole per i granchi ricordano un po' le nostre nasse per aragoste; come esca vengono usate ributtanti frattaglie di pollo e puzzolentissimo pesce di una certa età.
La pesca però ha dato qualche frutto, e esemplari particolarmente ottusi di questa gustosissima specie di crostacei si sono ficcati nelle magli della rete per raggiungere la puteolente preda. Dopo la cattura, tirate su le gabbie, bisogna subito passare alla misurazione della bestia: se infatti la misura è inferiore ai 15 cm bisogna ributarla immantinente nell'acqua marroncina, pena sanzioni corporali di sapore medioevale. A parte gli scherzi i controlli, per consentire la riproduzione degli animali, sono severissimi. Se si viene pizzicati con un pesce od un granchio fuori taglia, ti portano via la macchina.
Non è che se non puoi pagare l'ammenda ti portano via la macchina: ti portano via la macchina e basta, non la vedi più. Quì la vita è dura.
La pesca, quella più tradizionale, ha dato i soliti risultati mignon, nonostante nel fiume esistano una quantità di pesci oltre il metro di lunghezza; ma ormai la prendo sul ridere e non mi viene neanche più l'ansia da prestazione.
Tanto per ricordare che eravamo sempre in Australia, due aquile pescatrici ci hanno seguito tutto il giorno attendendo che noi gettassimo i pesci indegni del paniere di un pescatore orgoglioso, poi si lanciavano in picchiata, lo aggrinfiavano con gli artigli e se le pappavano con calma in cima ad una mangrovia. Uno spettacolo che quel fanfarone di Piero Angela mi ha venduto per anni come eccezionale, quì è una routine. Sono anche riuscito a fare la pessima fotografia di una presa al volo; mi hanno preso un po' alla sprovvista.
Per quanto riguarda i miei amici rettili, è praticamente impossibile vederli di giorno, però si possono sentire.
Di tanto in tanto tra le mangrovie o dietro l'ansa di un affluente si sente un suono inconfondibile: unite i due polsi, mettete le due mani leggermente a cucchiaio e poi unitele con un violento scatto.
E' il suono che fanno le mandibole dei coccodrilli quando si chiudono su qualche disgraziata creatura. Affascinante. Stimola ricordi ancestrali e fa rizzare 'u pilu, un po' come l'ululato di un lupo. Sono bestie che nei millenni scorsi ci devono avere davvero rotto i maroni.
L'epilogo dell'avventura, comunque, si concretizza in una pappata di "Mad Crab" al naturale, bollito e gustato con un po' di limone; niente affatto male.
Il giorno dopo, siòre e siòri, in una remota spiaggia dal buffo nome di Pallarenda, che sembra uno sport per bambini delle elementari, ho pescato un pesce.
Un pesce di più di sei centimetri intendo; ancora siamo lontani dal metro ma almeno, una volta pulito, sembrava ancora un pesce (degli altri rimaneva una maleodorante poltiglia informe).
Insomma, se potessi rimanere in Australia altri 15 o 20 anni potrei anche imparare a pescare.
Congelata la preda per i giorni a venire, ci si va a coricare ragazzi, domani c'è da incontrare la Great Barrier Reef !

F e V